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Il cibo e le emozioni? Due facce della stessa medaglia

In questo complicato e lungo periodo, spesso, ci attraversa la sensazione di avere messo “in pausa” la nostra vita, di essere ostaggi di un nemico invisibile e trasparente che distrugge tutto.
Nei momenti di emergenza in cui la paura e l’irrazionale inevitabilmente rischiano di soverchiarci, bisogna prendersi cura di sé.

È importante non interrompere, per quanto possibile, la propria routine ancorandosi a ciò che è certo, noto e prevedibile.

È fondamentale alimentarsi nel modo più regolare possibile e bere acqua seguendo una dieta bilanciata ed equilibrata che permette l’assunzione quotidiana di carboidrati complessi (pasta, pane, riso), proteine animali e vegetali in giusto rapporto (pesce, carne, legumi), grassi ad alto contenuto di acidi grassi monoinsaturi e polinsaturi, vitamine, sali minerali, fibre vegetali solubili e insolubili.

Mangiare molta frutta e verdura di stagione e alimenti che rafforzano il nostro sistema immunitario è indispensabile!

Ed è proprio di cibo che vi voglio parlare…

Uno psicologo francese affermava “Maigrir c’est dans la tête!”; il comportamento alimentare è collegato ai pensieri e alle emozioni. Il nostro cervello organizza il legame tra loro.

Mangiare di più quando si è stanchi, nervosi o arrabbiati può essere normale, ma se il cibo si trasforma nel solo e unico modo per trovare pace, diventa un problema da risolvere, un interminabile conflitto: cibo amico, cibo nemico.

Perché mangiamo troppo?

Vorrei percorrere con voi il viaggio nella mente di un abbuffatore. Per abbuffata si intende l’introduzione in un tempo limitato di una quantità di cibo significativamente superiore a quello che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso tempo e nella medesima situazione. La persona durante l’abbuffata percepisce un senso di perdita di controllo sul cibo. “ Non riesco a fermarmi, non so cosa mi succede in quei momenti… non mi accorgo nemmeno di mangiare, solo dopo vedo quanto cibo manca nel frigo”. L’abbuffata avviene rapidamente e in solitudine per la vergogna del proprio comportamento. Fa seguito una spiacevole sensazione di pienezza gastrica, disgusto, tristezza o senso di colpa.

Da un’analisi retrospettiva risulta che molti pazienti utilizzano per l’abbuffata cibi differenti a seconda dello stato emotivo: alimenti che si definiscono di consistenza, “corposi”, salati e grassi quando sono ansiosi, cibi “che si sciolgono in bocca”, dolci e ricchi di cioccolata quando si sentono depressi. Anche la quantità e la qualità sembrano correlare con le emozioni provate; le maggiori quantità sarebbero assunte in risposta all’ansia, mentre l’umore depresso porterebbe a ricercare cibi particolari di cui sono sufficienti quantità minori, come dire: la quantità è ansiolitica, la qualità è consolatoria.

Cosa succede nel nostro cervello?

Dal punto di vista neurobiologico la fame è una sensazione che nasce dall’ipotalamo, struttura deputata al controllo delle funzioni vegetative, delle esigenze fisiologiche e dei comportamenti istintivi; fa parte del sistema limbico definito dal neuroscienziato Maclean come la parte emotiva del cervello, che segue in linea evoluzionistica la più antica e impulsiva, il cervello rettiliano.

Il sistema limbico è la sede regolatrice del comportamento alimentare, è connesso all’amigdala e alle aree corticali che regolano le emozioni, ed è deputato all’immagazzinamento degli eventi emotivamente significativi.

Riprendendo le riflessioni iniziali…

Ci stiamo preparando sempre di più ad un mondo che sta cambiando.
Proprio come il nostro corpo è dotato di un sistema immunitario, il nostro cervello è in grado di adattarsi psicologicamente a situazioni avverse grazie alla sua resilienza.
Anche dal grande buio possiamo iniziare a rivedere e filtrare la luce attraverso i nostri occhi che hanno visto tutto questo spavento, dolore, irrealtà. Voglio lasciarvi con queste parole:

“Una volta la nonna mi aveva dato un consiglio:
Nei periodi difficili, vai avanti a piccoli passi.
Fai ciò che devi fare, ma poco alla volta.
Non pensare al futuro, nemmeno a quello che potrebbe accadere domani.
Lava i piatti. Togli la polvere. Scrivi una lettera. Fai una minestra.
Vedi?
Stai andando avanti passo dopo passo.
Fai un passo e fermati. Riposati.
Fatti i complimenti. Fai un altro passo. Poi un altro.
Non te ne accorgerai, ma i tuoi passi diventeranno sempre più grandi.
E verrà il tempo in cui potrai pensare al futuro senza piangere”

(Elena Mikhalkova)

Articolo apparso sulla Gazzetta di Parma lunedì 8 giugno 2020.

Dott.ssa Lorella Fornaro

Psicologa-Psicoterapeuta
Responsabile del Centro Aidap di Parma
Specialista nella cura dei Disturbi dell’Alimentazione e dell’Obesità

La foto è di Mockup Graphics su Unsplash